Siamo andati a vedere “Norma” al Real Teatro di San Carlo. L’ultima recita. Ricordo una Norma del nostro Massimo, credo nel 2016, diretta dal compianto Nello Santi.
Un Maestro, Santi, che dirigeva tutto a memoria e quella sera ci incantò per la bellezza musicale che riuscì a creare durante tutta la rappresentazione.
Lo andai a salutare dietro il palcoscenico, ne rimasi affascinato per la gioviale semplicità del suo sorriso, dopo una serata di profonda bravura direttoriale.
Purtroppo l’edizione odierna di “Norma”, prodotta dal Teatro Real di Madrid, risente di una direzione, quella di Lorenzo Passerini, priva di quello smalto ritmico che necessita l’architettura sonora di questo sommo capolavoro. Il gesto appare troppo enfatico e l’orchestra e le voci ne risentono visibilmente, rallentando tutto il piano sonoro, scolorendo le scene più tragiche, asciugando oltremisura i grandi duetti, penalizzando infine la resa tragica della narrazione.
Fortunatamente “Norma” è capolavoro che ha dentro la sua struttura musicale una sorta di pilota automatico. Abbiamo apprezzato la coraggiosa regia dell’australiano Justin Way che ha tracciato uno spettacolo su un percorso di “straniamento” storico/temporale.
I personaggi guardavano loro stessi come interpreti/attori di storie e vicende metastoriche, trasversali e infine risolte nella dissoluzione del Teatro medesimo, come dire che la Verità più alta è la finzione!
Norma quindi come pretesto, a detta di Justin Way, per dire poche cose, ma necessarie: Amore e Morte.
Ci ha sorpreso la crescente bravura e maturità, durante tutta l’Opera, del soprano Anna Pirozzi. L’attacco del recitativo di “Sediziose voci” ci consegna un canto di grande impatto tragico, seguito dalla lunare poetica cavatina della celeberrima “Casta Diva” cantata con espressione partecipata.
Un canto ipnotico, immerso in finti alberi alla “Querelle de Brest”di Fassbinder e gesti aulici, segnati e cadenzati come il Teatro Nō giapponese ci ha fatto vedere.
Una Norma stupenda quella della Pirozzi, che volteggia agevolmente tra i tanti personaggi del melodramma; come Medea, Tosca o la Minnie pucciniana.
Tutto è racchiuso in una superba interpretazione, costruita con estrema intelligenza e accompagnata da tecnica sublime, anche quando le difficoltà delle impossibili agilità belcantiste erano risolte da lirico spinto.
Impressionante la bravura da fraseggiatrice colta ( poichè ascoltatrice delle storiche edizioni di Norma ) della Pirozzi, vederla nel toccante duetto con Pollione “In mia man alfin tu sei” è da grande Maestra delle scene. Gestione del corpo perfetta, gesti misurati e sicuri, sguardo fiammeggiante. Persino il Pollione di De Tommaso qui brilla, la sua voce possente fa intravedere un grande tenore che dovrà ancora percorrere studio e pazienza per compiere un Pollione definito. Ma la voce di De Tommaso ci piace e lo vorremmo vedere ancora, magari in ruoli verdiani.
L’Adalgisa di Ekaterina Gubanova ben si armonizza con la voce della Pirozzi e riesce a sfoggiare non poche preziose qualità vocali, nel “Si, fino all’ore estreme” da anche prova di piccole interessanti variazioni. L’Oroveso di Alexander Tsymbalyuk mostra una tenuta visiva da mago Merlino, ma riesce a disegnare un padre credibile. Molto bene Veronica Marini, Clotilde e Giorgi Guliashvili come Flavio. Una menzione speciale al coro del San Carlo diretto da Fabrizio Cassi, eccezionale il finale, eccellenti tutti i registri vocali degli artisti, concetratissimi, anche quando la direzione di Passerini non era proprio sui giusti “attacchi”. Norma e Pollione, con il palcoscenico in fiamme, vanno al rogo con un teatro strapieno e scrosciante di applausi meritatissimi.
Pino De Stasio
20 marzo 2024