Un Don Carlo crepuscolare che inciampa sulle incertezze della regia, svettano le voci e lo splendido coro

Non sono qui a narrare la bella trama del “Don Carlo” tratta dalla tragedia di Friedrich Schiller. E’ opera di contrasti, di sentimenti avversati, di sangue e sesso, di Chiesa che sovrasta il mondo con il suo potere temporale.
Il Don Carlo ha inaugurato, ieri sera 29 novembre, la stagione del Massimo napoletano, poichè la prima è stata annullata per il triste lutto di Ischia.
Opera macro musicale, immensa per struttura, che semina, facendole germogliare, nuove formule melodrammatiche.
Verdi ha più volte rimaneggiato questo assoluto capolavoro che noi abbiamo visto nella (quasi) edizione integrale in cinque atti.
Purtroppo la regia di Claus Guth non ha saputo decodificare compiutamente la complessità della Musica e del libretto.
La regia vaga tra intuizioni di lugubri dilatazioni geometriche delle ombre dei protagonisti, che si stagliano sulle mura racchiuse in claustrofobici ritorni di segni, sogni e incubi e le orrende proiezioni da déjà vu anni settanta, più volte viste e riviste a teatro e che declinano le scene a minore presa drammatica.
La comparsa continua del paggetto istrione ( forse a ricordarci un Rigoletto bambino ) del pur sorprendente mimo, distoglie profondamente lo spettatore dall’intima tragedia che ciascun personaggio vive in rapporto anche allo spazio ed agli oggetti.
Un vero peccato poichè Don Carlo, essendo opera di contrasti, necessita o di una messa in scena di sicura tradizione ( Pier Luigi Pizzi) o di temeraria e dissacrante genialità ( Damiano Michieletto ) , gli elementi ci sono tutti: Chiesa, Stato, Sentimenti, Amore, Morte, Natura.
Ma ora veniamo alle voci, impegnate su tutti i registri, persino un basso profondo del grande inquisitore qui interpretato da un notevole Alexander Tsymbalyukche che sferza nel bel dialogo del consiglio con Filippo secondo “Son io dinnanzi al re?”, un intenso fraseggio misto a straniato terrore. E che dire del Filippo di Michele Pertusi, basso raffinatissimo di scuola belliniana, un belcantista purissimo che ha pochi eguali per qualità vocale e tecnica, il suo dolente lirismo nei passaggi più psicologici si contrappone ad un sanguigno suono quando infonde morte o comanda esecuzioni. Il Don Carlo di Matthew Polenzani ha piglio lirico e credibilità scenica ma gli manca quel tratto eroico che deve essere eseguito nei momenti più intensi, resta comunque un tenore di grande qualità, attento sempre allo spartito. Desta sorpresa la contristata e brava Elisabetta di Ailyn Perez, che supera brillantemente la prova suprema di “Tu che le vanità”, che interpreta con giusto piglio drammatico senza dimenticare la lezione della Caballè nel drammatico finale con un Si acuto splendidamente stagliato tra il terrore della imminente morte e l’orchestra, che in questo microscopico tratto musicale, esalta la vibrante scena.
La serata è stata scossa dalla commossa e partecipe interpretazione di Elīna Garanča (La principessa Eboli).
Questa cantante sconcerta per la sua immensa qualità vocale, non si risparmia nemmeno nei passaggi “recitativi” complessi, con una varietà di colori e “puntature” da lasciarci attoniti, un fragoroso applauso è stato concesso nel “Oh don fatale” che ha mandato in visibilio il pubblico, con i brava a scena aperta!
La Garanča ha voce integra, scura, omogenea un mezzosoprano di puro platino, un’altra belcantista da mettere nell’albo delle Dive immortali.
Rodrigo è qui interpretato da Ludovic Tézier che eccelle nei duetti con Don Carlo, anch’egli mostra indiscutibilmente una preparazione del personaggio e dello spartito minuziosa, attenta, non si risparmia anche essendo baritono. Sono molto belli i passaggi vocali del personaggio, tra l’eroico e la passione, che anche qui hanno reminiscènze belliniane.
Il coro è quello più sacrificato in termini di presenza compiuta sulla scena, spesso racchiuso in nicchie mortuarie o relegato con costumi opprimenti, ha saputo comunque svettare sotto la brillante direzione del Maestro José Luis Basso. Voglio ricordare la meravigliosa presenza del coro maschile che in proscenio, nella scena dell’esecuzione per volere di Filippo secondo, mostra alcuni cantanti del coro di primissima qualità vocale. Ancora un grazie al Maestro Basso per quello che ci ha donato in termini di qualità artistica in questi pochi anni di duro lavoro.
La direzione orchestrale del Maestro Juraj Valčuha è come dire in crescendo. Si nota una certa timidezza a inseguire i momenti più lirici dello spartito, mentre appare sicura la sanguigna vemenza dei momenti più tragici.
Ricordiamo: Giorgi Manoshvil, Cassandre Berthon, Luigi Strazzullo, Massimo Sirigu, Maria Sardaryan, Takaki Kurihara, Lorenzo Mazzucchelli, Giuseppe Todisco, Ignas Melnikas, Giovanni Impagliazzo, Rocco Cavalluzzi.

Pino De Stasio

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4 commenti su “Un Don Carlo crepuscolare che inciampa sulle incertezze della regia, svettano le voci e lo splendido coro”

  1. Grazie della bella recensione che ci porta a rivedere questa stupenda opera di Verdi che molto amo. Non potendo essere a Napoli mi sento in spirito accomunata al pubblico fortunato che ha potuto seguirla. Grazie

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  2. Concordo! Grazie
    Regia inutile, insensata ed opprimente, brutte scene e costumi!
    Musica meravigliosa

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