Brillano di fuochi accesi, stelle fulgenti, sangue luminoso le scene e i costumi del Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns, andato in scena in questi giorni al Real Teatro di San Carlo per la regia di Damián Szifròn. Un’estetica da fumetto americano o meglio da letture dell’antologia di storia delle scuole medie degli anni cinquanta.
Dispiace che un simile sforzo di messa in scena non corrisponda, in maniera efficace, alle complesse dinamiche interpersonali tra gli interpreti, che ce la mettono tutta nel compiere gesti, baci, sorrisi, amplessi e financo esecuzioni da tagliagole nella dionisiaca scena finale.
L’esecuzione musicale del raffinatissimo direttore Dan Ettinger che ha l’orchestra sancarliana al massimo dei virtuosissimi passaggi sinfonici, ci fa riscoprire un’opera che ascoltata in disco, cd o video non emana tutta quella forza sensuale ed erotica che si impone nel sentirla e vederla a teatro.
La musica di Camille Saint-Saëns è a cavallo di un maturo Berlioz ed un sintetico Wagner, con passaggi melodici che ricordano l’italiano Giuseppe Verdi, soprattutto nei poderosi cori oratoriali che stagliano la tragedia nell’infinito pentagramma di musica che si fa universo.
E come non commuoverci nell’ascolto iniziale “Dieu! Dieu d’Israël!”. Il Coro del San Carlo profonde una maestria d’insieme da rabbrividire, diretto dall’insaziabile perfezione del maestro José Luis Basso così come nel finale del baccanale, la tragedia si solidifica in una vocalita “unica” del coro e la rimanda a noi con la sferza sanguinante della drammaticità degli eventi. Ripeto un coro/ensemble meraviglioso e una prestazione che resterà incastonata nella corona sancarliana come diamante sfolgorante.
Ora veniamo agli interpreti.
La Dalila di Anita Rachvelishvili ci propone un personaggio che si muove tra le difficoltà dell’ambiguità che il libretto e la storia le impone ed una recitazione moderna nei gesti e negli sguardi da teatro del novecento. Che sontuoso canto ha questo mezzosoprano georgiano e la sua prestazione, nella recita del 2 ottobre, è un crescendo di matura consapevolezza vocale che intreccia il bel canto delle arcate melodiche del “Mon cœur s’ouvre à ta voix” fino agli asciutti e modernissimi duetti con Sansone e il gran Sacerdote.
La Rachvelishvili nell’emozionante scena del forzato amplesso ha saputo consegnarci la tragedia di una donna tra Amore e Fede. Bravissima!
Il Sansone di Brian Jagde ha la potenza sonora di un baritenore. La sua è una tessitura di platino forgiata su un canto che predilige il melodramma d’impeto ed eroico, maggiore controllo nel “frasare” in francese ed una più attenta gestione della sua bella fisicità, completerebbe un personaggio riuscito. Brian Jagde Sarebbe un perfetto Dick Johnson della Fanciulla del West o addirittura un Arnoldo nel Tell rossiniano.
Ernesto Petti è oramai baritono di gran classe, affronta il personaggio de il sommo sacerdote di Dagone sulla traccia storica delle grandi voci come Renato Bruson, fraseggio, declamato, concertati e duetti espressi con la perfezione dell’alta scuola italiana.
Commuove ed esalta ancora, pur nella piccola parte del vecchio ebreo, Roberto Scandiuzzi, voce di pregio e cesello assoluto, nobilissimo interprete dei grandi bassi mai esistiti.
Ricordiamo le precise voci Gabriele Sagona, Li Danyang, Mario Thomas, Sergio Valentino.
Pino De Stasio